La storia di Elisa Fustini il medico che lascia i Caraibi per tornare in Italia in piena pandemia.

La storia di Elisa Fustini il medico che lascia i Caraibi per tornare in Italia in piena pandemia. (PAGINA WORK IN PROGRESS)

Articoli giornalistici:

RIMINI. Dalle baie dei Caraibi a un reparto di terapia semi-intensiva Covid-19. Dagli aperitivi in barca agli spuntini consumati velocemente fra un turno e l’altro, al rientro in casa solo dopo la decontaminazione dal coronavirus. In pochi giorni la velista Elisa Fustini, medico di 43 anni, ha cambiato vita. Era già successo a fine ottobre, quando aveva salutato i colleghi dell’ospedale di Pesaro, dove era responsabile del reparto ospedaliero nell’ambito dell’emergenza-urgenza, per partire in barca stop con il compagno Renato.
Da Rimini, dove si sono conosciuti al Circolo Velico Riminese e dove vivevano, erano partiti in aereo per le Canarie. E da qui, di barca in barca, hanno viaggiato in posti da sogno raccontando il loro viaggio sul blog “Due cuori e una cerata” (https://duecuorieunacerata.com/): Capo Verde, Martinica, Antigua, Saint Barth, Saint Martin, Puerto Rico, Cuba. Ma da una decina di giorni la realtà è diventata un’altra.

Cosa è successo?
«Mi trovavo a Melbourne per un lavoro con la Formula Uno ma nel frattempo mi tenevo in contatto con i colleghi di Pesaro che erano ogni giorno sempre più in difficoltà, in una situazione sempre più difficile e sempre più tragica. Non ero serena in giro per il mondo con il cuore lontano a migliaia di miglia. Sentivo i colleghi, leggevo le chat, sfogliavo continuamente le notizie e gli aggiornamenti dei disastrosi bollettini. Volevo dare il mio contributo sapendo di essere una risorsa utile, era impossibile per me rimanere sorda e lontana…
Quando è terminato l’impegno della Formula Uno sarei potuta andare dal mio compagno che nel frattempo stava viaggiando in barca in Messico verso Panama. Ma non me la sono sentita. In un messaggio con Umberto Gnudi, attuale direttore del pronto soccorso e della medicina di urgenza dell’ospedale di Pesaro, con il quale sono amica da tantissimi anni, ho scritto: “Avete bisogno?” Lui mi ha risposto: “Secondo te?”. Così ho deciso di tornare a Pesaro per mettermi a disposizione. Loro avevano tanto bisogno e non tornare sarebbe stato contro i miei principi. Sono un medico già istruito per questo lavoro, non ho bisogno di formazione. Sono diventata operativa sin dal primo giorno».

Non è stato facile il rientro. Elisa è dovuta sbarcare prima a Zurigo e poi ha potuto raggiungere un’Italia che poco alla volta stava restringendo gli spostamenti con una epidemia che ha colpito ancor più duro nelle province di Pesaro e di Rimini.
Il suo compagno ha capito la tua decisione?
«Certo. Mi ha detto che devo stare attenta, che è preoccupato ma ha aggiunto che sono dove voglio essere e con le persone giuste. D’altra parte non era nemmeno pensabile rientrare tutti e due. Non avrei voluto essere fonte di contagio. Io non faccio altro che fare Rimini-Pesaro Pesaro-Rimini. Da casa all’ospedale e dall’ospedale a casa, passando i vari controlli sul percorso»

Come è stato il rientro in corsia?
«Ero spaventata per quello che mi era stato detto. Ma parte delle paure mi sono passate non appena ho iniziato a lavorare. Certo è tutto terribile. I pazienti sono tanti, affaticati, hanno fame d’aria e sono soli. Ma è il nostro lavoro, l’aspetto emotivo viene messo da parte dal lavoro che dobbiamo fare, dall’aspetto tecnico. Si vede tanta sofferenza ma si vede anche che in mezzo a tante difficoltà c’è un grande sostegno fra i colleghi, tutti coloro (è uno sforzo immane da parte di medici, infermieri, oss, portantini, operai… davvero tutti) che lavorano in ospedale. Quando sono arrivata poi mi hanno fatto una gran festa».
Del resto prima di partire aveva comunque detto che quello del medico è il lavoro “più bello del mondo”.
«Lo riconfermo tutta la vita. Forse è un’attitudine… Non so se è solo il desiderio di dare una mano agli altri. Il corpo umano è molto affascinante. Tutte le volte è un viaggio di esplorazione all’interno di una persona, è un’esperienza emotiva tra il medico e il paziente, è un ingegnarsi, è un mettere al lavoro la propria curiosità e le proprie competenze per riuscire a fare qualcosa in più».
Passerà?
«Sì, passerà e io riprenderò il mio viaggio. Non possiamo sapere però fra quanto tempo. Ma dobbiamo sapere tutti che ci sono malattie peggiori di dover stare a casa. In questa vera e propria catastrofe sanitaria chi sta bene ha in fondo quasi una fortuna a dover stare solo a casa. Perché c’è chi piange i propri morti”. Di Pietro Caricato 29 Marzo 2020

Nel 2019 c’è ancora spazio per i sogni, l’avventura, il romanticismo? La storia di Elisa e Renè sembra fatta apposta per dimostrarlo. Due vite normali e poi all’improvviso la decisione: girare il mondo in barcastop e raccontare le esperienze vissute in un blog: “Due cuori e una cerata” ( https://duecuorieunacerata.com/)
Elisa Fustini ha 43 anni ed è bolognese. Laurea in Medicina e Chirurgia con 110 e lode. Prima di maturare la decisione è medico internista e lavora all’ospedale di Pesaro dove è responsabile del reparto ospedaliero nell’ambito dell’emergenza-urgenza. Renato Tartarini, ha 53 anni ed è di Pieve di Cento (Bo). Appassionato di mare e di vela. Un anno e mezzo fa lascia il posto fisso come gerente di un negozio di pitture e si imbarca sullo yacht d’epoca “Coch Y Bondhu”, la barca dell’armatore riminese Paolo Zangheri, per il progetto legato alla regata Panerai Transat Classic 2019.
La regata vittoriosa
I due si conoscono durante un corso di vela tenuto dal Circolo Velico Riminese. Renè è aiuto-istruttore. Elisa un’allieva. «Ci siamo innamorati e in pochissimi giorni ci siamo trovati a condividere un tetto da perfetti sconosciuti!». Ma il progetto con “Coch y Bondhu” va avanti. Prima della regata c’è da fare il trasferimento. Elisa raggiunge Renè per tre giorni a Cadice, sulla costa atlantica spagnola, per dieci giorni a Lanzarote, per un paio di settimane tra Martinica e Grenadine. In mezzo ci sta la vittoria della regata e in parallelo matura anche in Elisa la convinzione di voler cambiare vita.
Voglia di libertà
È così che si arriva alla decisione. Elisa si licenzia da un lavoro che comunque ama («Il più bello del mondo»): il 21 ottobre la festa di saluto con i colleghi, il 23 sale insieme a Renè sull’aereo che li porta a Lanzarote con lo stretto necessario alla nuova vita. “Le persone sono ricche in proporzione al numero di cose a cui possono permettersi di rinunciare”, questa la frase di Davide Henry Thoreau che si legge sul blog. E loro si portano dietro solo 10 chili di bagaglio a testa. Si comincia. I primi bordi della nuova vita sono alle Canarie. Questa settimana invece è prevista la partenza per Capo Verde prima di andare ai Caraibi. Il blog parla del loro viaggio come un mezzo «per riprogrammarsi un nuovo stile di vita, più libera, un po’ meno calcolata e possibilmente più vera, potendo usufruire del nostro tempo. Siamo novizi del “downshifter”, lo stile di vita del letterale “scalare una marcia”: rinunciare ad un sistema preconfezionato di lavoro sicuro o di carriera ed a zero tempo per sé, in cambio proprio del tempo e della libertà».
Il corso iniziato per caso
Ma come nasce una cosa del genere? Come in ogni storia che si rispetti a un certo punto interviene il caso, il destino, come in un romanzo di Joseph Conrad. E il destino ha le sembianze di Federica, un’amica di Elisa. La convince a iscriversi a un corso di avvicinamento alla vela. «Sì, è stato un caso. Io ero dubbiosa. Lavoravo fino a tardi a Pesaro. Vado? Non vado? Pensavo di non farcela. La prima sera sono arrivata in ritardo di un’ora. Poi pian piano ho capito che potevo farlo e che mi piaceva, specialmente la parte pratica, in mare». Era il marzo del 2018.
Più lungo il rapporto di René col mare. «Nella mia vita ho fatto tanti lavori. Giunto a Rimini nel 2003, ho iniziato ad andare in mare con la guardia costiera ausiliaria. Mi è piaciuto. Ho preso la patente nautica e ho iniziato a dare una mano al Circolo Velico Riminese ai corsi di vela. Certo, viaggiare mi è sempre piaciuto, ma quando mi si è presentata l’occasione del progetto di Coch y Bondhu mi sono licenziato, poi, quando ho visto ai Caraibi quanta gente fa questo tipo di vita… parlandone con Elisa è maturata la voglia di farlo…»
I modi per imbarcarsi
Come si trova l’imbarco? «Noi siamo pronti anche a trovare l’imbarco girando in banchina», spiega Renè, «ma abbiamo messo anche degli annunci sul web e soprattutto nell’ultimo anno ho conosciuto tante persone che navigano e hanno bisogno di una mano. A Gran Canaria siamo andati con un amico e abbiamo assistito alla partenza della seconda tappa della MiniTransat. Un altro amico ci ha messi in contatto con un armatore suo amico che vuole andare ai Caraibi passando da Capo Verde e ora siamo a bordo della sua barca in procinto di salpare».
Imbarcarsi alla pari o essere retribuiti per il trasferimento di una barca… al momento per Elisa e Renè non fa molta differenza. Al primo posto il feeling con le persone con le quali si deve navigare, come il modello di barca sulla quale sono adesso, un Feeling 48,6… «Sì, vogliamo realizzare il nostro sogno di viaggiare», aggiunge Elisa, «ma siamo anche dei privilegiati perché sappiamo che quando volessimo smettere potremmo fermarci e tornare a lavorare. Il nostro non è un salto nel buio. Non siamo dei ragazzi. Siamo adulti e questa scelta la facciamo dopo aver raggiunto una solidità personale e professionale. Insomma abbiamo una nostra base solida» . «Tutti e due lavoravamo tantissimo», aggiunge Renè, «ed eravamo oppressi dagli schemi nei quali ci vuole rinchiudere la società. Vogliamo dimostrare che i sogni si possono realizzare o almeno ci si può provare» Di Pietro Caricato 18 Novembre 2020

Elisa: “Lascio la mia barca a vela e torno a fare il medico nel reparto d’urgenza”

Raccontare storie positive, ai tempi del Covid 19, è un balsamo per l’anima. Quando poi l’esempio buono ha come protagonista una donna, è sempre una piacevole coincidenza. Elisa Fustini, medico di Rimini, ha dato prova di forza di volontà, grinta e intraprendenza. Lo scorso anno aveva mollato tutto per amore, la sua casa, la sua città e il suo lavoro di Responsabile del Reparto di Medicina d’Urgenza all’Ospedale di Pesaro Marche Nord.

Dal camice bianco alla cerata

Smesso il camice bianco di medico, la dottoressa Fustini insieme a Renè, il suo compagno Renato Tartarini, sono salpati a bordo di una barca a vela per vivere il mare.

Non si smette mai di essere medico

Per l’emergenza sanitaria da coronavirus, la Dottoressa Elisa ha lasciato la libertà che il mare sa regalare, per rientrare subito a Pesaro in reparto. Un supporto, il suo, importante e immediato da professionista già formata e pienamente a conoscenza della struttura. Non poteva fare altrimenti, ci confida Elisa Fustini. Cosa l’ha spinta a tornare a Pesaro in questo momento?

Be’, non ci dormivo la notte. Anche quando ero in Australia, impegnata nelle unità di soccorso della Formula 1, vedevo, sentivo, leggevo di quello che stava accadendo, ascoltavo i racconti dei miei colleghi e percepivo la pesantezza della situazione. Non potevo far finta di nulla. Sono tornata immediatamente, tra l’altro, in un reparto che conoscevo molto bene, dal personale a tutto ciò che riguarda la burocrazia. Lo dirigevo, pertanto anche i miei colleghi non hanno speso tempo a farmi inserire o ad affiancarmi. Sono rientrata subito operativa appena ho rimesso piedi lì dentro.

Quando sei arrivata in reparto, forte solo dei racconti dei colleghi, che impatto hai avuto?

Devo dire che il giorno prima di rientrare ero un po’ preoccupata. Quando non vede realmente cosa accade, uno si fa un’opinione personale basata su un racconto. Una volta dentro, l’impatto è stato molto forte. Ho trovato un ospedale completamente cambiato. Anche il mio reparto è stato riorganizzato, non era più nella sua vecchia sede per garantire una struttura esclusivamente Covid.Sembrava davvero di essere su un campo di battaglia, tutto molto carico di emozioni di ogni tipo. Tanti pazienti, tanta fatica a lavorare.

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Una situazione difficile e un incredibile aumento di personale

Che situazione hai trovato in reparto?

C’è stato un notevole aumento di personale in ogni reparto perché il carico assistenziale è elevatissimo. Una situazione molto difficile, devo ammetterlo. Però ho ritrovato il mio lavoro di sempre, con una logistica completamente stravolta. Devo dire che all’inizio ero spaventata, ma quando sono entrata e ho iniziato a lavorare, tutto è passato. Non pensi più a niente, lavori e basta. Sono tante ore di immersione totale dove non c’è modo di staccare un attimo e distrarsi.

Il coronavirus cambia il rapporto con pazienti e familiari

coronavirus medico
Elisa Fustini in reparto Covid

Cosa ti ha colpito di più di questa nuova esperienza da medico?

La cosa che mi ha colpito di più perché forse per noi medici è la vera novità, è stata la nuova modalità di contatto con i famigliari. La solitudine dei pazienti con le famiglie lontane, questa è la cosa più difficile a cui noi non eravamo abituati. Dal punto di vista medico e umano, i famigliari dei nostri pazienti li abbiamo avuti sempre complici, presenti, a parlare con noi, a stare accanto ai loro cari degenti. Invece, questa distanza crea una grande angoscia nelle famiglie che rimangono fuori dal tutto, che sono a casa in attesa di una nostra telefonata, con aspettative, con terrore.

La scienza sta facendo davvero l’impossibile combattere questo maledetto Covid 19. Una volta finita l’emergenza cosa cambierà per voi che operate nel sistema sanitario?

Sicuramente, per tutto il sistema sanitario questo sarà un ricordo indelebile e, come accade per ogni disgrazia, credo che l’intelligenza ci faccia approfittare di uno slancio di miglioramento. Questo vale per tutto e per tutti, per il mondo del lavoro ma anche per le nostre vite personali.

LA STORIA

Dal giro del mondo a vela al ritorno in corsia, l’impegno di Elisa: “C’è bisogno? Eccomi”

Dall’ospedale al giro del mondo a vela, fino al ritorno in corsia nell’ospedale di Pesaro: l’emergenza del coronavirus l’ha convinta a tornare in corsia. La 43enne riminese Elisa Fustini nell’autunno scorso aveva deciso di cambiare vita, ma il viaggio in barca a vela con il compagno – lo hanno raccontato nel blog Due cuori e una cerata – si è fermato in Australia. E’ bastato un messaggio inviato al direttore del pronto soccorso di Pesaro, una delle città più colpite dall’epidemia: “Avete bisogno”. E la risposta non si è fatta attendere: “Secondo te?”.

IL RITORNO

—Così Elisa è tornata a Pesaro e si è messa a disposizione. “Loro avevano tanto bisogno e non tornare sarebbe stato contro i miei principi – ha raccontato al Corriere di Romagna -. Sono un medico già istruito per questo lavoro, non ho bisogno di formazione. Sono diventata operativa sin dal primo giorno. Ero spaventata, ma parte delle paure mi sono passate non appena ho iniziato a lavorare. Tutto è terribile. I pazienti sono tanti, affaticati, hanno fame d’aria e sono soli. Si vede tanta sofferenza ma si vede anche che in mezzo a tante difficoltà c’è un grande sostegno fra tutti coloro che lavorano in ospedale”.

IL VIAGGIO

—Il progetto del giro del mondo a vela non è cancellato. “Quando tutto passerà, riprenderò il mio viaggio. Non possiamo sapere però fra quanto tempo. Ma dobbiamo sapere tutti che ci sono malattie peggiori di dover stare a casa. In questa catastrofe sanitaria chi sta bene ha in fondo quasi una fortuna a dover stare solo a casa. Perché c’è chi piange i propri morti”. Da gazzetta.it/

 La bella storia (“normale”, dice lei) della dottoressa bolognese Elisa Fustini, che a ottobre si era dimessa dall’Ospedale di Pesaro per fare il giro del mondo a vela (racconta tutto nel suo blog: “Due cuori e una cerata”), e che per l’emergenza Covid ha scelto di tornare in corsia

Mollo tutto e vado in barca. Tanti lo sognano, pochi ce la fanno. Chapeau ai coraggiosi e forti che ci riescono. Coraggio e forza sono caratteristiche che restano e si manifestano anche in altre circostanze. Così ecco la storia, bella anche a volerla considerare (come vuole lei) normale, di Elisa Faustini, 43 anni bolognese. Da ottobre si è dimessa dall’Ospedale di Pesaro, per cambiare vita e girare il mondo in barca a vela. Oceani, isole, continenti, acqua, cielo. La felicità, all’improvviso.

Era ottobre, pochi mesi prima del coronavirus. Poi tutto è cambiato, a velocità supersonica. E un giorno, in Australia, è cambiata di nuovo anche la vita di Elisa. O forse no, è solo continuata, perchè con lo stesso coraggio e la stessa forza, la dottoressa è tornata a Pesaro, in Ospedale, in una delle regioni italiane più colpite dal Covid. “Continuare il viaggio sarebbe stato contrario ai miei principi”, racconta in una intervista, e aggiunge: “Quanto tutto passerà riprenderò la navigazione. Adesso sono necessaria in corsia.” A pensarci bene è una diversa forma di felicità, all’improvviso.

Prima della decisione di tornare in ospedale, Elisa aveva messo all’attivo anche una traversata atlantica. Ecco due brevi note e un video, sempre dal suo blog (https://duecuorieunacerata.com).

IL POST SULLA DECISIONE: MA PERCHE’ VI MERAVIGLIATE? – Il mio viaggio alle isole Vergini Inglesi risale a tre soli mesi fa. Secoli. Nel frattempo mi pare di avere vissuto una qualche decina di vite: tanto navigare, tre settimane di vita Cubana, una Formula1 in Australia fino al rientro al lavoro in Ospedale a Pesaro per l’emergenza Covid. Lo stesso reparto da cui mi ero licenziata. Ma naturalmente così mi sentivo di fare.

E il mio stupore di fronte a chi si stupisce di questa scelta di dedizione e sacrificio che io non reputo minimamente tali. I giornalisti che per questo mi intervistano, danno sempre la stessa risposta: fa notizia la buona notizia. Non è così scontata la normalità in un tempo di crisi virale, morale, economica, strutturale.

Ma in qualcosa quarantena e barca a vela si somigliano: precauzioni forzate, acquisi contati, momenti di noia e paure. Quarantena e barca a vela danno tempo e tolgono fretta. Per fare cose normali, come una colazione, liberi dalle scandite frenesie delle scadenze. Per spendere tanto di meno, perchè serve a tutti molto di meno. Per l’indipendenza personale in luoghi piccoli e condivisi: si può eccome, l’emancipazione dipende solo dalla nostra testa.

Il covid ha “freezzato” buona parte del mondo. Il freeze è il tasto dell’ecografo che se schiacciato produce il fermo immagine. Metamorfosi perfetta per sforzarci di vedere qualcosa di buono anche con il Covid e farci dare il resto in un prezzo da pagare tanto salato.

Prendere le cose per quello che sono, non soffocare la corteccia cerebrale di opinioni senza senso, godere di se stessi sapendo di essere fortunati rispetto a chi piange i propri morti, non smettere mai di progettare e sognare. Respirare. Che la vita è un attimo.

ATTRAVERSARE L’ATLANTICO – Attraversare l’atlantico è faticoso, noioso, rischioso e richiede sacrificio. Ma la premessa non anticipa il finale. Lo rifarei? Naturalmente si. Perchè è una forte emozione, forse un’evasione ai confini in cui siamo detenuti, una curiosità da esplorare, un traguardo raggiunto con strumenti personali nuovi con cui misurarsi è gratificante. O forse la motivazione è semplicemente solo un’attitudine caratteriale. L’Oceano è di certo un un orecchio in ascolto, buono ed esigente che ti accoglie senza sapere chi sei, che ti insegna a far le cose come dice lui, non come pare a te. Può’ perdonare l’ignoranza ma non l’arroganza. Da ansa.it/